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L'amaro caso della baronessa di Carini

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Inno alla memoria

C'era una volta, trent'anni fa.
La memoria riaffiora. Come una ninfea.
Galleggia e si lascia guardare.
Talmente fragile da somigliare ad una bolla di sapone, leggera come una piuma, pronta a dileguarsi come le prime luci dell'aurora.
E' un piccolo universo che fluttua nell'aria.
Ho quasi paura di afferrarla, di guardarci dentro e ritrovarmi invecchiato, magari irriconoscibile: nei gesti, nei pensieri, nei sogni, nelle parole.
Eppure un passo va fatto, ma con delicatezza.
Come aprire un vecchio baule: qualunque sia il contenuto, ha fatto parte della mia vita.
E credo che, per quanto apparentemente insignificante esso sia, lascia dietro di sè una traccia indelebile.
Non stupitevi, quindi, se quel baule contiene la mappa dei ricordi.
Mi chino stupito e sfioro con mano piccole stelle che credevo collassate nei profondi abissi del tempo.
Odori, luci, suoni, immagini, rumori dimenticati.
Sono ciò che i ricordi mi permettono di essere.
Ancora una volta traccio la rotta delle sensazioni, del "cosa provavo", del "cosa pensavo".
"E il naufragar m'è dolce in questo mare"

L'amaro caso della baronessa di Carini (1975) (TV)

Regia di
Daniele D'Anza

Scritto da:
Daniele D'Anza
Lucio Mandarà

Cast:
Ugo Pagliai ... Luca Corbara
Adolfo Celi ... Don Mariano D'Agrò
Janet Agren ... Donna Laura D'Agrò
Enrica Bonaccorti ... Cristina
Guido Leontini ... Don Carmelo
Vittorio Mezzogiorno ... Enzo Santelia
Paolo Stoppa ... Don Ippolito
Giuseppe Alotta ... Brasi, il cameriere
Loris Bazzocchi ... Rosario
Ugo Bonardi ... Nele Carnazza
Harold Bradley ... Lord Bentinck
Empedocle Buzzanca ... Il banditore
Vito Cipolla ... Giuseppe
Arturo Dominici ... Il principe di Castelnuovo
Gisela Hahn ... 'La barunissa' Caterina
Erasmo Lo Presto ... Pietro, l'archivista
Riccardo Mangano ... Il prete di Palermo
Maria Morales ... La cameriera
Gianni Ottaviani ... Saverio, il maggiordomo
Giovanni Pallavicino ... Dott. La Xiura
Maria Pegoraro ... Gnà Malia
Biagio Pelligra ... Ignazio Buttera
Claudio Previtera ... Don Pietro La Grua-Talamanca
Sandro Serafini ... Uomo Rosario

Prodotto da
Arturo La Pegna

Musiche originali di
Romolo Grano

Trama
Un'antica canzone popolare del Cinquecento narra la tragica vicenda della baronessa uccisa per motivi d'onore, per mano del padre di lei, nel castello di Carini, località a pochi chilometri da Palermo.
Sicilia 1812: la prima Costituzione liberale sta per mettere fine ai privilegi dei grandi feudatari. Luca Corbara è inviato dal ministro delle finanze a controllare le proprietà fondiarie. In seguito alla ballata udita da un cantastorie, comincia a sospettare che l'attuale feudo di Carini sia costituito da terre usurpate più di due secoli prima all'amante della baronessa uccisa. A ostacolarlo c'è il barone di Carini, Don Mariano d'Agrò, il quale cerca di sbarazzarsi di Luca Corbara accusandolo dell'assassinio del cantastorie Nele Carnazza. A sottrarlo dall'accusa contribuiscono l'intervento della misteriosa setta dei Beati Paoli, che vogliono vendicare i torti commessi dal barone, e l'aiuto di Laura, moglie di Don Mariano.

La ballata di Carini


Chiangi Palermu, chiangi Siracusa:
a Carini c'è lu luttu in ogni casa.
Attorno a lu Casteddu di Carini,
ci passa e spassa un beddu Cavaleri.
Lu Vernagallo di sangu gintili
ca di la giuvintù l'onuri teni.
Amuri chi mi teni a lu cumannu,
unni mi porti - duci - amuri unni?
Viu viniri la cavalleria.
Chistu è me patri chi veni pi mia,
tuttu vistutu alla cavallerizza.
Chistu è me patri chi mi veni ammazzari'.
Signuri patri chi venisti a fari?
Signora figghia, vi vegno ammazzari.
Lu primu corpu la donna cadiu,
l'appressu corpu la donna muriu.
Un corpu 'nto cori, un corpu 'ntra li rini,
povira Barunissa di Carini

Piange Palermo, piange Siracusa:
a Carini c'è il lutto in ogni casa.
Attorno al Castello di Carini,
passa e ripassa un bel cavaliere.
Il Vernagallo è di sangue nobile
e tiene all'onore della gioventù.
Amore che mi tieni al comando,
dove mi porti - dolce amore, dove?
Vidi venire la cavalleria.
Questo è mio padre che viene per me,
tutto vestito da cavaliere.
Questo è mio padre che mi viene ad ammazzare.
Signor padre che sei venuto a fare?
Signora figlia, sono venuto ad ammazzarti.
Al primo colpo la donna cadde,
al colpo successivo la donna morì.
Un colpo al cuore, un altro alla schiena,
povera Baronessa di Carini.


Polvere di stelle

Anno 1975: avevo dodici anni quando lo vidi per la prima volta. In bianco e nero, naturalmente, sul mio vecchio Telefunken dotato di grosso trasformatore. Quest'ultimo, con la sua lucetta verde, illuminava debolmente il carrello dov'era riposto. Sedie e poltrone rappresentavano la famiglia riunita. Calava sulla stanza una sorta di arcano silenzio del quale oggi non v'è traccia: perchè sedersi davanti alla televisione significava condividere qualcosa. "Che si vede stasera?" domanda mia madre; "Ugo Pagliai con una baronessa....roba siciliana..." dice mia sorella. Piuttosto perplessi e poco convinti, cominciamo a seguire la presentazione dello sceneggiato. Un tizio, individuato come il regista, irrita non poco con le sue interviste: "Veniamo al dunque!", sbotta mio madre; "Mamma mia che sigla!", dice stralunata un'altra sorella; "Non parleranno siciliano, spero!", protesto io. Nonostante l'entusiasmo iniziale non sia alle stelle, qualcosa attira la nostra attenzione: una mano insanguinata che lascia una lugubre impronta sul muro di una spoglia stanza. Quella mano diventa improvvisamente il simbolo di un mistero, come lo fu il medaglione ne "Il segno del comando". Ricordo che provai un'orribile sensazione nel vedere morire la donna: tutta la scena è rallentata e le pugnalate sembravano arrivare direttamente nelle mie viscere, al punto di sentirne il freddo e pungente acciaio.
Eppure, nonostante la storia drammatica che rimanda ad un fatto realmente accaduto ed ai ripetuti flashback temporali citati nella sigla, lo sceneggiato si mantiene su toni abbastanza leggeri, anche grazie agli sprazzi d'ironia di un superbo Paolo Stoppa e alla grande interpretazione di Adolfo Celi: mascalzone sì, ma sornione come un felino pronto a balzare sulla preda inerme; soltanto nel finale lo vidi stravolto, provato, con lo sguardo che sembrava affacciarsi sull'orlo dell'abisso. La storia si ripete, così come il dramma; e se qualcosa di "amaro" doveva manifestarsi, lo provai soltanto nei confronti di Luca Corbara, interpretato dal carismatico Ugo Pagliai: per me ragazzino, un "eroe" che tesse l'intreccio dell'intera vicenda non poteva e non doveva uscire di scena in quel modo. Concepivo il senso di predestinazione, ma mi ero illuso delle parole pronunciate da Luca Corbara nei confronti di Don Ippolito (Paolo Stoppa): "E che faceva Don Mariano? Ammazzava Laura e me? Faceva il bis dell'amaro caso della signora di Carini?". Tradito, dunque, e come non bastasse anche dai Beati Paoli, fantomatici giustizieri incappucciati per i quali nutrivo una spiccata simpatia: mi rammentavano i "Compagni di Baal", sceneggiato mitizzato dal sottoscritto perchè soltanto fugacemente intravisto. E così, dopo la mano insanguinata ed i Beati Paoli, ciò che mi portai nel cuore fu la canzone, un pezzo di un anonimo autore interpretato da Gigi Proietti: alla fine, tutto assumeva un senso ed il cerchio si chiudeva. Fino ad oggi.

Il cerchio si riapre?


Scavando nel passato, immancabili rispuntano i punti interrogativi. L'impronta della mano insanguinata, ad esempio: una delle tante leggende narra che, ad ogni anniversario della morte di Laura Lanza, la sua sinistra sagoma riappaia sul muro. Ma chi l'ha realmente vista? Non esistono foto, non esiste nulla che comprovi questo affascinante mistero. Il prologo dello sceneggiato del 1975 ci mostra un'intervista rilasciata da un abitante del luogo:

"Dieci, quindici anni fa c'era l'impronta della mano insanguinata della principessa che è morta. Il custode, siccome venivano dei turisti a vedere questa impronta della mano, per levare questa seccatura (ha detto lui, intelligentemente), l'ha levata, l'ha tolta".

Questa affermazione lascia perplessi: possibile che nel 1960/1965 nessuno l'abbia mai immortalata fotograficamente?
E Domenico Vernagallo, l'avo di Luca Corbara/Vernagallo (il personaggio inventato ed interpretato da Ugo Pagliai), è realmente morto tragicamente come racconta l'antica ballata? Si può dire altrettanto di Laura Lanza?
Con il consueto sorriso sulle labbra, vi invito a staccare il biglietto della Storia.

I Beati Paoli (da Wikipedia.org)

I Beati Paoli furono una leggendaria setta segreta di vendicatori-giustizieri, sorta in Sicilia, a partire, probabilmente, dal XII secolo, con l'obiettivo di raddrizzare i torti subiti dalla povera gente. La società nacque, secondo il marchese di Villabianca (Palermo 12/03/1720 - 06/02/1802), dallo strapotere e dai soprusi dei nobili che amministravano direttamente anche la giustizia criminale nei loro feudi. È difficile trovare documentazioni che ne convalidino l'esistenza e l'operato anche perché i racconti della tradizione popolare erano esclusivamente orali. Ne risultano perciò molteplici teorie non concordanti tra loro che oscillano da una affermazione della loro storicità al convincimento che ci si trovi di fronte ad una invenzione letteraria, mentre è più facile trovare documentazione a partire dalla fine '800 su una diffusione in Sicilia di una convinzione popolare sull'effettiva storicità dei fatti. Ad essi molti si sono richiamati per originare storicamente la nascita della mafia.

I Vernagallo (tratto da http://genmarenostrum.forumup.it)

Dal testo di Salomone Marino "La Baronessa di Carini", pubblicato per la prima volta a Palermo nel 1870:

"Nei primi anni del secolo XVI, sfuggendo alle accanite lotte partigiane nella natia Pisa, si trasferirono in Sicilia parecchie magnatizie famiglie; tra esse quella dei Vernagallo, principalissima, di antica e chiara prosapia, e denarosa tanto quanto estesa per numero di rappresentanti. Don Mariano, rispettato capo di essa, stabilivasi a Palermo; e qui al 1504 sposava D. Giulia Cosenza, unica figlia di D. Antonio, Signore di Billiemi. La magione dei Vernagallo, nella principale Via del Lauro, rifulse tosto per la grandezza e la magnificenza; e D. Mariano, morendo nel 1519, lasciava al primogenito D. Ludovico un patrimonio vistosissimo, ed altro cospicuo al cadetto D. Alvaro, oltre a lasciti pur larghi per la vedova, per le due figlie, per uno stuolo di congiunti e per le opere pie.
D. Ludovico Vernagallo, splendido, accorto, ambizioso, mirò sempre ad affermare la sua posizione tra la nobiltà siciliana; e mentre entrava in Casa La Grua sposando nel 1530 D. Elisabetta (Bettuccia) unica sorella di D. Pietro II, acquistava successivamente il titolo e la baronia di Calascibetta e quella del Grano mercè largizioni e prestiti generosi alla Corte e mercè la benevolenza e la fiducia del Vicerè Gonzaga e dell'Imperatore Carlo V; e otteneva missioni politiche delicate e gli uffici eminenti di Capitano Giustiziere e di Pretore della Città e di Governatore della nobile Compagnia dei Bianchi......

[...] In casa Vernagallo fioriscono, insieme alle industrie e alle operazioni bancarie, gli studi delle scienze, delle armi, delle arti; e la musica in ispecie vi ha cultori passionati e rinomati; sì che tra elegante e cortese gioventù signorile del tempo spicca singolarmente la prospera figliolanza di D. Ludovico: Mariano II, Vincenzo, Ettore, Alvaro, Maria, Giulia, Caterina, e quella del fratel suo D. Alvaro: Ludovico, Erminio, Fulvia, Giulia; ché i due fratelli, con le rispettive famiglie, procedono all'unisono, sono cordialmente e indissolubilmente legati". [...]


Il testo prosegue poi parlando dei La Grua Talamanca e dei Lanza, e del matrimonio tra Laura Lanza e Vincenzo La Grua. Pare tuttavia che Laura, nata e cresciuta tra i fasti palermitani, a Carini si annoi, e che perciò spesso torni a Palermo, nel palazzo dei Baroni di Carini, mentre il marito:

"[...] si appassiona di più alla caccia al falcone e all'ornamento della stupenda villa di Belvedere sopra Carini...[...]"

"Adiacenti e propinqui al palagio del Barone di Carini se ne aggruppano parecchi altri magnatizi che formano ornamento dell'aristocratico rione della Kalsa; e a cento passi appena, allo sbocco della via, si prospetta la grande magione dei Vernagallo, schiusa agli eletti ritrovi, ai trattenimenti artistici, alle feste sontuose. Si comprende facilmente che i coniugi La Grua, data la parentela intima e le cordiali relazioni, vi pigliano parte attiva e essenziale".

Il seguito, in parte, è quello che conosciamo: Laura e Ludovico si innamorano ma vengono scoperti. Qui però il colpo di scena: mentre Laura viene uccisa....

"[...] il Vernagallo, scampato a precipizio, si rifugia ne' fondachi di Lattarini a Palermo; poi, ad evitare sicura e feroce vendetta, sotto abito fratesco abbandona l'Isola, e pentito e penitente in fine muore in un Convento di Spagna [...]
E a sua volta, l'ultimo superstite dei Vernagallo, D. Francesco Paolo Principe di Patti, spontaneamente mi presentava l'originale testamento (del 29 settembre 1582) di D. Vincenzo [sic] Vernagallo, morto monaco sacerdote carmelitano a Madrid e già amante amato di D. Caterina [sic] La Grua."


L'Autore poi, per diverse pagine, ci racconta su come lui abbia seri dubbi sulla versione avvalorata dal Principe di Patti, e sulla base di altri documenti ne ricostruisce una sua: Laura Lanza e Ludovico Vernagallo, diventati amanti già ai tempi delle feste palermitane, proseguono la relazione al Castello di Carini, e la frequenza al Castello del Vernagallo è giustificata dalla parentela e dagli affari che porterebbero il bel Ludovico nel suo vicino feudo di Dain Asturi, affari consistenti in un'azienda sociale di cannamele, appartenente (ironia della sorte) per un quarto ai La Grua, per un quarto al padre di Ludovico, D. Alvaro, e per i restanti due quarti al fratello di Alvaro, D. Ludovico "seniore". Tuttavia dalla relazione nascerebbero dei figli... ed ecco il movente dell'omicidio.

Documenti storici (tratto da http://www.tanogabo.it)

[...]Nella realtà, esistono dei documenti dai quali risulta che il Vicerè di Sicilia, informa, all'epoca, la Corte di Spagna che Cesare Lanza, barone di Trabia e conte di Mussomeli, ha ucciso la figlia Laura e Ludovico Vernagallo. Questo documento avvalora l'atto di morte della baronessa, redatto il 4 dicembre 1563 e che si conserva nell'archivio della Chiesa Madre di Carini insieme a quello di Ludovico Vernagallo. Non esiste, invece, alcuna prova che tra Laura Lanza e Ludovico Vernagallo ci fosse qualcosa di diverso dall'amicizia. Quindi Cesare Lanza di Trabia, complice il genero, uccise per leso onore della famiglia, la figlia Laura e fece uccidere da un sicario Ludovico Vernagallo.
La leggenda racconta che fu un frate del vicino convento, infatti, ad informare il padre ed il marito della sposa, e questi, assieme, freddamente meditarono e prepararono l’assassinio.
Fu preparato l’agguato e quando l’ignobile spia si accorse che i due amanti stavano insieme, avvertì don Cesare Lanza, che corse nella stessa notte a Carini, accompagnato da una sua compagnia di cavalieri, e fatto circondare il castello, per evitare qualsiasi fuga dell’amante di sua figlia, vi irruppe all’improvviso, e sorpresili a letto, li uccise.
L’atto di morte di Laura Lanza e Lodovico Vernagallo, trascritto nei registri della chiesa Madre di Carini, reca la data del 4 dicembre 1563. Nessun funerale fu celebrato per i due amanti, e la notizia della loro morte, o per paura o per rispetto, fu tenuta segreta. La cronaca del tempo lo registrò con estrema cautela senza fare i nomi degli uccisori, scrive Luigi Maniscalco Basile, senza dire nemmeno che cosa era accaduto, mentre il Paruta riporta il fatto nel suo diario, così: "sabato a 4 dicembre. Successe il caso della signora di Carini". Ma nonostante la riservatezza d’obbligo, la notizia si divulgò lo stesso ed il "caso" della baronessa di Carini divenne di dominio pubblico[...]

Il viceré, appena venuto alla conoscenza dei delitti, immediatamente adottò per don Cesare Lanza ed il barone di Carini i provvedimenti previsti dalla legge; furono banditi ed i loro beni vennero sequestrati. Don Cesare Lanza ancora una volta si rivolse a re Filippo II; spiegò i motivi che lo avevano portato assieme al genero a trucidare i due amanti ed avvalendosi delle norme, in quel tempo in vigore, sulla flagranza dell’adulterio, chiese il perdono che fu accordato. Liberato da ogni molestia, don Cesare Lanza riebbe i suoi beni; ancora una volta la Giustizia non lo aveva neanche toccato e giustamente, come scrisse il Dentici, "l’aristocrazia del tempo era al di sopra delle leggi e della giustizia". Anche il barone di Carini, marito di Laura, fu assolto con formula piena, e visse indebitato sino alla sua morte, dopo avere portato al Monte dei Pegni gli ultimi gioielli della sua famiglia.

Memoriale presentato da Cesare Lanza al Re di Spagna per discolparsi del delitto della figlia Laura:

Sacra Catholica Real Maestà,
don Cesare Lanza, conte di Mussomeli, fa intendere a Vostra Maestà come essendo andato al castello di Carini a videre la baronessa di Carini, sua figlia, come era suo costume, trovò il barone di Carini, suo genero, molto alterato perchè avia trovato in mismo istante nella sua camera Ludovico Vernagallo suo innamorato con la detta baronessa, onde detto esponente mosso da iuxsto sdegno in compagnia di detto barone andorno e trovorno detti baronessa et suo amante nella ditta camera serrati insieme et cussì subito in quello stanti foro ambodoi ammazzati.


Don Cesare Lanza conte di Mussomeli

Tratto dalla genealogia "La Grua Talamanca ( http://www.genmarenostrum.it/)

Vincenzo (* 11-11-1527 + 22-3-1592), Barone e Signore di Carini (investito il 12-1-1536 e 28-6- 1558).
a) = (contratto: Carini 21-9-1543) Laura Lanza, figlia di Cesare 1° Conte di Mussomeli e di Lucrezia Gaetani (* 1529 + assassinata dal marito e dal padre per adulterio, Carini 4-12-1563) - E' lei la "Baronessa di Carini" resa celebre dal noto sceneggiato "L'amaro caso della baronessa di Carini" -
b) = Carini 4-5-1565 (o 21-10-1564 ?) dona Ninfa, figlia di don Alfonso Ruiz de Alarcòn, Maestro di Campo del Regno di Sicilia (+ 24-11-1565);
c) = 11-3-1566 Donna Paola Sabia


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