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Francis Durbridge e la RAI - Come un uragano

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Analisi di un fenomeno in una televisione che non c'è più

di A. Scaglioni

6) "Come un uragano" (1971)

Nonostante il successo che gli sceneggiati gialli di Durbridge avevano sempre riscosso tra i telespettatori italiani, prima di "Un certo Harry Brent", nessuna delle opere dello scrittore inglese era mai riuscita a piazzarsi nella Top Ten degli ascolti. Ora, per essere precisi, bisognerebbe specificare che soltanto dal 1965 i dati del Servizio Opinioni venivano comunicati ufficialmente attraverso la pubblicazione sulle pagine del Radiocorriere TV, quindi non si hanno dati certi sul periodo antecedente, ma è difficile pensare che i quasi sei milioni de "La sciarpa", o i quasi quattro di "Paura per Janet", nel 1963, potessero seriamente essere riusciti ad entrare in una ideale classifica dei dieci programmi di maggior successo, quando a far la parte del leone erano quasi sempre, oltre all'onnipresente Festival di Sanremo, varietà, giochi a quiz, qualche importante appuntamento sportivo, o in alternativa i grandi sceneggiati tratti dai classici letterari, tutti trasmessi sul Programma Nazionale, che contavano non meno di dodici-quindici milioni di spettatori a testa. Il primo giallo a puntate a riuscire ad entrare in classifica fu, proprio nel 1965, "La donna di fiori" diretto da Anton Giulio Majano, prima inchiesta "lunga" del popolarissimo tenente Sheridan, che con i suoi tredici milioni e seicentomila spettatori di media a puntata si piazzò all'ottavo posto in quell'anno. Negli anni immediatamente successivi nessuno sceneggiato poliziesco, né Sheridan con le sue altre "donne", né tantomeno "Melissa" o "Coralba" di Daniele D'Anza, riuscì nell'impresa di dare la scalata alla classifica. Solo "Giocando a golf, una mattina", nel 1969, con quindici milioni e centomila arrivò a sfiorare la decima posizione, strappatale però da "I fratelli Karamazov" per soli trecentomila spettatori in più.
Ma nel 1970, finalmente "Un certo Harry Brent" di Francis Durbridge riuscì a sfondare quel muro, apparentemente invalicabile, e con i suoi diciotto milioni e ottocentomila spettatori si piazzò ad un onorevolissimo settimo posto, migliorando di una posizione il risultato ottenuto da Sheridan cinque anni prima e divenendo di fatto il secondo giallo a puntate mai riuscito ad entrare nella mitica Top Ten. Il primo firmato dallo scrittore inglese ma, come vedremo, non l'ultimo.

In quel 1971, che a Novembre avrebbe visto arrivare sugli schermi della Rai la sesta versione italiana di un giallo televisivo di Durbridge, l'evento mediatico dell'anno a livello di fiction era stato "Il segno del comando", curioso mix tra detective-story e ghost-story, diretta dal veterano Daniele D'Anza su un soggetto originale di Flaminio Bollini e Giuseppe D'Agata, che tenne incollato al video il pubblico italiano per cinque domeniche, tra Maggio e Giugno, nel seguire le avventure del professor Edward Foster (Ugo Pagliai) alla scoperta dei misteriosi segreti soprannaturali celati negli antichi vicoli della Roma sette-ottocentesca e all'inseguimento di un fantasma con le affascinanti fattezze di Carla Gravina. Una storia di reincarnazione e di parapsicologia (molto di moda in quel periodo) che è rimasta un classico tra gli sceneggiati Rai, tutt'oggi di gran richiamo ad ogni nuova edizione in DVD e citatissima in ogni libro o articolo che si occupi dell'argomento, ma che per quanto successo abbia potuto riscuotere (ci credereste?) non riuscì a piazzarsi nella classifica dei dieci programmi più seguiti dell'anno. Cosa che invece riuscì qualche mese dopo, e più che egregiamente, a "Come un uragano", il nuovo giallo di Francis Durbridge, in onda per la prima volta in sole cinque puntate, dal 28 Novembre al 12 Dicembre, ogni domenica e martedì sul Nazionale.

Anche nello script originale, "Bat Out of Hell", datato 1966, Durbridge, era stato costretto per la prima volta, per un'improvvisa decisione dei dirigenti della BBC, a ridurre le classiche sei puntate da 30 minuti l'una a cinque, contraendo la trama della quinta e della sesta in un'unica puntata, ma come ormai ben sappiamo, le cose funzionavano diversamente in Italia, ed anche se pure da noi ci fu la diminuzione di una puntata, restava il problema di rimpinguare adeguatamente la storia per trasformare le due ore e mezzo scarse della serie inglese nelle cinque ore abbondanti della versione italiana. Ancora una volta, sotto l'attenta regia di Silverio Blasi, regista esperto ma esordiente assoluto nel genere poliziesco, Biagio Proietti fu chiamato ad adattare la traduzione di Franca Cancogni del testo di Durbridge, per produrre una nuova sceneggiatura che soddisfacesse le esigenze di durata richieste dalle trasmissioni Rai. E per la prima volta (evidentemente questo era lo sceneggiato delle "prime volte"), lo fece, non limitandosi ad aggiungere od allungare scene e dialoghi, ma inserendo un'altra trama nella trama originaria. Infatti, a grandi linee, la storia scritta da Durbridge raccontava di un delitto progettato da una donna e dal suo giovane amante ai danni del marito di lei e dei guai in cui i due improvvisati criminali incappano quando il cadavere scompare e qualcuno comincia a perseguitarli. Si trattava, come si vede, di un giallo un po' più classico dei soliti di Durbridge a base di più o meno vaste organizzazioni criminali e di misteriosi capi senza volto. Proietti pensò bene invece di reintegrare nella storia proprio quei requisiti che "mancavano", rinforzando il plot con elementi più caratteristici dello stile "durbridgiano".

Nella cittadina di Alunbury, nel Suffolk, il nuovo ippodromo di recente costruzione sta rapidamente diventando un punto di riferimento per gli appassionati di eventi ippici, sollevando l'attenzione di Scotland Yard che ha notato strani e cospicui movimenti di denaro, tanto da sospettare che un'importante organizzazione di scommesse clandestine vi abbia messo gli occhi sopra. A questo scopo da Londra è arrivato l'ispettore Clay, ufficialmente per sostituire il suo collega locale, l'ispettore Booth, in procinto di partire per un periodo di vacanze, ma in realtà per indagare di nascosto sull'ippodromo. Particolarmente sorvegliati sono Ken Harding, un piccolo allibratore del luogo, e Albert Roach, ricco impresario edile e proprietario dell'ippodromo stesso. Nel frattempo, apparentemente estraneo a tutto questo, si sta svolgendo un classico dramma famigliare. Diana Stewart, la bella e trascurata moglie di Geoffrey Stewart, l'agente immobiliare di Alunbury, ha intrecciato con il giovane assistente di suo marito, Mark Paxton, una relazione sentimentale, e insieme i due hanno progettato di sbarazzarsi del ricco ed avaro coniuge per godersi l'eredità. Un giorno, Paxton, con un pretesto riesce a trascinare Geoffrey in una vecchia e cadente casa, sostenendo che Albert Roach ha intenzione di acquistare il terreno per costruirci un albergo. Lieto di potersi finalmente sbarazzare di una proprietà che credeva invendibile, Geoffrey abbocca e Paxton lo uccide con due colpi di pistola. Secondo il piano previsto, i due complici dovrebbero liberarsi del corpo portandolo in una cava di pietra vicina dove verrebbe per sempre seppellito dalle esplosioni provocate dai lavori in corso. Così in attesa di trasferirlo nella sua ultima dimora, Paxton nasconde il morto sulla sua auto e la parcheggia nel garage di una casa deserta. Ma quando Mark torna per recuperare il cadavere, questo è scomparso. E poco dopo, Diana riceve una telefonata da suo marito, in cui il "defunto" le ingiunge di riconoscere il suo corpo quando verrà chiamata per l'identificazione. Spaventatissima, la donna si confida con l'amante che però si rifiuta di credere che a telefonarle sia stato Geoffrey. Tuttavia il giorno dopo, un corpo sfigurato, ma con gli abiti di Stewart, viene effettivamente ritrovato nella pietraia in cui i lavori sono stati inaspettatamente interrotti, e Diana e Mark non possono fare altro che fingere di riconoscere il marito di lei. Indagando in coppia sul caso, gli ispettori Booth e Clay annusano subito qualcosa di strano nell'atteggiamento di Diana e Paxton, ma esaminano anche da vicino l'entourage di amici e conoscenti degli Stewart, dai coniugi Glenda e Paul Cooper, proprietari di un elegante negozio di lampadari, a Bill Grant, gestore di un parco di auto usate, all'ambigua Kitty Ryan, padrona di un negozio di dolciumi e ficcanaso ufficiale del paese. Seguendo le indicazioni di una nuova telefonata del presunto morto, questa volta ricevuta da Glenda Cooper, Diana si reca ad un appuntamento con il marito in una località vicina, Pine Lodge, ma qui trova ad aspettarla Clay, giunto anche lui su una segnalazione anonima, ed una brutta sorpresa: il cadavere di Geoffrey è stato ritrovato proprio lì privo di vestiti e morto da almeno due giorni, mentre il corpo da lei identificato sembra essere quello dell'allibratore, Ken Harding. Ora Diana dovrà rispondere a molte difficili domande. Ma soprattutto ad alcune che si pone lei stessa: a chi apparteneva la voce che al telefono si è presentata come suo marito? E perché adesso la sua amica Glenda nega di aver mai ricevuto la chiamata di Geoffrey, affermando che è stata lei a dirle di averla avuta? E che significa la frase "A Diana, entrata nella mia vita come un uragano", fatta incidere da Geoffrey su un portasigarette d'oro, ritrovato nella tasca della sua pelliccia, ma che lei non ha mai visto? Altri cadaveri, naturalmente, si aggiungeranno alla lista, collegando presto le due vicende, quella delle scommesse truccate e quella del complotto uxoricida, solo apparentemente slegate.

Come di consueto mi sono limitato a fare un rapido sunto delle prime fasi della storia, invitandovi, se ancora non l'avete vista, a recuperarla nella versione DVD in cofanetto (o in alternativa su YouTube, dove credo che tutti gli sceneggiati di Durbridge, da "Melissa" in poi, siano disponibili).

Dicevo più sopra, che Proietti aggiunse all'intrigo da "delitto in famiglia" di Durbridge, tutta la trama associata all'organizzazione delle scommesse clandestine e all'ippodromo, che nell'originale non esisteva, ma lo fece con tale maestria ed utilizzando un tema che si legava così bene a Durbridge che i due capi della storia finiscono per amalgamarsi perfettamente, anche se l'ultima puntata dovette essere quasi completamente riscritta, lasciando del testo originale praticamente solo l'identità del colpevole e poco altro.

E il pubblico televisivo premiò lo sceneggiato diretto da Blasi con l'incredibile media di quasi ventidue milioni di spettatori a puntata, e con punte di oltre venticinque nell'ultima. Il miglior risultato di ogni tempo per un giallo alla televisione italiana. Questi ascolti da finale dei mondiali di calcio fruttarono a "Come un uragano" il podio nella Top Ten del 1971, con un bellissimo terzo posto, subito dietro a "Canzonissima" e alla serata finale del Festival di Sanremo, e davanti a pesi massimi degli ascolti come il "Rischiatutto" di Mike Bongiorno e ad uno dei più famosi sceneggiati di Anton Giulio Majano, "E le stelle stanno a guardare", tratto da Cronin, con Giancarlo Giannini, Orso Maria Guerrini e Anna Maria Guarnieri, tra gli attori più amati della tv di quel tempo.
Ma anche il giallo di Durbridge poteva sfoggiare un cast di tutto rispetto: Alberto Lupo, redivivo dopo l'infelice fine di "Un certo Harry Brent", tornava nel ruolo dell'ispettore Clay; la splendida e giovanissima Delia Boccardo (allora appena ventitreenne) era Diana Stewart; Corrado Pani, altro idolo del pubblico femminile dell'epoca, era Mark Paxton; e poi, Renzo Montagnani come Bill Grant, Adriana Asti e Cesare Barbetti nella parte di Glenda e Paul Cooper, Nora Ricci, vecchia gloria del teatro italiano, come la ficcanaso Kitty Ryan, Renato De Carmine come il losco Albert Roach, e lo stesso regista Silverio Blasi si ritagliò una breve parte (breve perché lo fanno fuori già nella prima puntata) nel ruolo dell'allibratore Ken Harding. Aggiungerei anche Gabriella Grimaldi, che appare solo dalla quarta puntata nel ruolo di una ragazza che darà una svolta decisiva al caso, e che è in realtà la sorella di Delia Boccardo.

Girato come di consueto in estate, per poter essere pronto alla messa in onda in autunno inoltrato, tra Roma e, per gli esterni, l'Inghilterra, in particolare Londra e Claire, un villaggio ad un centinaio di chilometri dalla capitale britannica, dove fu ricostruito il paesino di Alunbury, "Come un uragano" fu avvolto dalla solita cappa protettiva di mistero sulle riprese che tanto bene aveva funzionato nelle occasioni precedenti a livello mediatico, assicurandosi un elevato grado di curiosità da parte dei giornali e del pubblico. L'unica indiscrezione che circolava sul set era che questa volta Alberto Lupo sarebbe giunto incolume alla fine. Lui non sarebbe stato una delle vittime, non solo perché era il poliziotto che conduceva le indagini, ma soprattutto perché dopo il trambusto di "Un certo Harry Brent", nessuno si sarebbe preso la responsabilità di farlo morire di nuovo sullo schermo.

Il finale, invece, e quindi il nome del colpevole, vennero, a quanto si disse, nascosti anche allo stesso regista, che asseriva negli articoli del Radiocorriere TV di essere stato affiancato sempre da un funzionario della Rai che gli suggeriva continuamente cosa riprendere, come riprenderla e per quanto riprenderla. Dovette, come i colleghi che l'avevano preceduto, girare più finali, ma stavolta senza sapere lui stesso quale fosse quello vero, che sarebbe stato deciso e montato sotto la supervisione di questo non meglio identificato "funzionario" solo a poche ore dalla messa in onda dell'ultima puntata. Se questa fosse solo l'ennesima invenzione dell'ufficio stampa della Rai per acuire la curiosità dei lettori, non saprei dirlo ma non lo escluderei.

Il commento musicale fu affidato a Bruno Nicolai, compositore anche per il cinema e stretto collaboratore di Ennio Morricone di cui aveva diretto tra l'altro le musiche per i film di Dario Argento, che portò appunto echi "morriconiani" nella colonna sonora, tanto che nei momenti di tensione pare di riconoscere le tipiche note stridenti di alcuni temi de "L'uccello dalle piume di cristallo" o "Il gatto a nove code". Ma anche la regia di Blasi sembra farsi debitrice in più di un momento della lezione argentiana, e più in generale delle atmosfere dei "thrilling all'italiana", tanto di moda proprio in quegli anni, con insistite soggettive dell'assassino e primi piani sulle sue minacciose mani guantate di nero.
Di Nicolai anche "Diana", la bellissima sigla finale cantata da David King, su immagini caleidoscopiche che ripetono quelle dei quasi inesistenti titoli di testa, ruotando sullo schermo proprio "come un uragano".

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